Le nostre recensioni
FAUST
Regia: Aleksandr Sokurov - Russia 2010.
Armatevi di coraggio sin dall’inizio: il film si apre con una scena di vivisezione in cui il Dott. Faust, nella sua infinita e inappagabile sete di sapere, entra fisicamente dentro l’uomo e spinge la sua ricerca fin dentro i più reconditi, orripilanti, nauseabondi e appiccicaticci particolari delle sue viscere… E la sua angosciante ansia di conoscenza, azione, danaro, lussuria prosegue per tutto il film in una continua, febbrile e sfiancante corsa alla ricerca di risposte in un paesaggio opprimente, infernale, schiacciato in spazi angusti, soffocanti e claustrofobici, dominato da un’aria pesante, mefitica dove la morte tutto pervade, toglie il fiato e non lascia speranze. E’ un film che richiede esercizio di aggettivi e attributi forti: coraggioso, ostico, duro, tetro, violento, spietato, disperato, furioso ma anche meraviglioso, film faticoso, logorante, spesso pesante da seguire perché richiede attenzione, partecipazione, coraggio e pelo sullo stomaco.
A questo punto una domanda potrebbe sorgere spontanea : ma perché andarlo a vedere, perchè farsi del male?. Ma perché nessuno di noi vorrebbe mai immaginarsi in mezzo ai personaggi dei quadri di Bosh o di Bruegel ma pur tuttavia quei quadri ci affascinano e vale la pena far km per andarli a vedere nei musei di mezzo mondo. E Sokurov ci ripropone quei paesaggi e personaggi in un formato 4/3 (cui non siamo più abituati e da solo ci mette a disagio) in cui i corpi, le linee, le prospettive , tutto è deformato grazie all’uso superbo di focali grandangolari e tele che si mettono al servizio del messaggio e superano il limite della fotografia intesa come fedele rappresentazione della realtà ripresa. Anche le luci sono narranti: tutto è tetro, grigio, polveroso, quasi da farci sentire lo sporco addosso, solo l’apparizione dell’amata Margherita squarcia il buio ed è luce accecante, abbagliante, il paradiso dopo l’inferno, l’inferno dopo il paradiso .. Ma chi è il Faust di Sokurov? Goethe ha dedicato tutta la sua vita a questo personaggio e non ho certo la presunzione di avventurarmi in giudizi o confronti. Mi colpisce che il nostro Faust sia accecato dalla fame di conoscenza assoluta e assetato di infinito ma poi, alla fine, come direbbe un Cetto qualunque, vende l’anima per una notte con Margherita e un po’ di pilo.
Mi colpisce che più che un diavolo tentatore, sia Faust a volersi far tentare, a cercare Mefistofele dovunque e febbrilmente, a inseguirlo, quasi fosse il pusher di cui ha disperato bisogno.
E mi colpisce che l’orripilante, deforme e flautolento Mefistofele, di mestiere faccia l’usuraio e usi il danaro per comprare tutto e tutti, e dal denaro nasca lussuria, perdizione, inferno.
Pur calato in un paesaggio medioevale, il Faust di Sokurov mi sembra un personaggio con le ansie ed i limiti dell’uomo moderno e attuale, anche se, in estrema sintesi, ritengo che colore e fotografia siano talmente prepotenti da prevaricare o rendere secondario un tentativo di lettura razionale dell’opera e del personaggio.
Godetevi una difficilmente riconoscibile Anna Schygulla nei panni di una vecchia pazza che insegue Mefistofele. Alla luce del fatto che tutte le esperienze della vita, positive o negative che siano, infinitamente piacevoli o terribilmente angoscianti lasciano il segno, ci forgiano e ci restano impresse, sono contento di aver visto il Faust di Sokurov.
Piero