Suburbana Collegno

LA PANTERA DELLE NEVI

mercoledì 7 giovedì 8 febbraio 2024 - ore 21

(La panthère des neiges) Regia e sceneggiatura: Marie Amiguet, Vincent Munier - Fotografia: Marie Amiguet, Léo-Pol Jacquot, Vincent Munier - Montaggio: Vincent Schmitt - Voce narrante: Paolo Cognetti - Francia 2021, Documentario 92’, Wanted.

Nel cuore degli altipiani tibetani, due esploratori, il fotografo naturalista Vincent Munier e l’autore Sylvain Tesson, sono alla ricerca della pantera delle nevi, uno dei più grandi e rari felini che la fauna terrestre abbia mai conosciuto. La pantera diventa il simbolo di un viaggio alla scoperta di sé stessi, di un luogo incontaminato, lontano da spazio e tempo, disarmante e inesplorato.

La pantera delle nevi fugge dal flusso adrenalinico della quotidianità, invita alla riflessione sul presente, rifiuta le soluzioni facili per scavare in altre dimensioni. Che cos’è in fondo la pantera? L’impossibile che si fa concretezza, il fascino del mistero che finalmente si svela e si concede ai nostri sensi. (…) Non c’è più spazio per l’ipervelocità dell’industria, per il progresso che vince su ogni forma di intimismo. Qui c’è l’essere umano che osserva l’infinito. (…) Quell’infinito è un altopiano tibetano che sembra appartenere a un altro universo. Luogo impervio, quasi inaccessibile, si fa teatro di una ricerca che supera ogni bisogno terreno. L’obiettivo non è solo fissare per un attimo negli occhi il predatore, ma riscoprire un mondo solo all’apparenza perduto. Nella quiete, sulla neve, i due esploratori sanno di essere solo degli ospiti di passaggio. Si sentono piccoli, bloccati in corpi che li limitano. I cineasti Amiguet e Munier si concentrano su un’esperienza più spirituale che fisica. Vogliono fermare l’orologio, aguzzare l’ingegno nel descrivere lo spazio. La fotografia diventa il mezzo per inseguire la perfezione, per rendere la staticità l’unica via possibile. (…) La pantera delle nevi vuole essere una favola, una nuova appropriazione del tempo perduto, un qui ed ora lontano dalla follia, dall’errore. Per un attimo ogni cosa è illuminata, tutto è meraviglia. Per un’ora e mezza l’obiettivo è contemplare, astrarsi, in un cammino personale che riguarda tutti. (Gian Luca Pisacane, www.cinematografo.it)

Amiguet adotta un approccio prevalentemente contemplativo, mantenendo un profilo molto basso e alternando immagini mozzafiato di paesaggi magici alle meravigliose creature che popolano il Tibet. L’accostamento è in qualche modo efficace e contribuisce a regalare un’intensa esperienza sensoriale. Il cielo scuro, la nebbia, le aspre montagne, la neve, le grotte degli orsi e tutta la natura nella sua bellezza - e crudeltà - servono come ispirazione per le riflessioni dei due uomini sulla loro ricerca e, soprattutto, sul travagliato rapporto tra l’umanità e l’ambiente. Mentre Amiguet ha il delicato compito di lavorare con il girato e infondere la sua visione, è importante sottolineare come questo film sia frutto del lavoro di un trio: la regista condivide infatti i compiti di scrittura, ripresa e registrazione del suono con Tesson e Munier. Nel complesso, il team compie la sua missione; nella sequenza finale, un momento di divulgazione altamente emotivo è in grado di chiarire perché la ricerca del leopardo delle nevi non è la solita nuova avventura, ma fa parte della ricerca finale della bellezza da parte del trio. L’aspetto del leopardo delle nevi, una specie rara e difficile da individuare nel cuore degli altopiani tibetani, creatura maestosa in tutta la sua eleganza (e spietatezza), funziona da potente metafora per un mondo in pericolo che potremmo non essere più in grado di vedere nel giro di poche generazioni. (Davide Abbatescianni, www.cineuropa.org)